Sembra un profeta del vecchio
testamento che ha ben chiaro, però, le parole del nuovo testamento. E’ un
profeta che si sporca le mani da decenni, che ha fondato il Gruppo Abele di
Torino quando pochi guardavano a coloro che erano emarginati, per alcol, droga,
miseria, follia in quella città operaia e laboriosa, colma di meridionali
giunti in quello che qualcuno chiamava anche FiatNam. Quando è stato evidente
che uno dei cancri di questo Paese erano le mafie non ha esitato a fondare “Libera,
nomi e numeri contro le mafie”.
Un’associazione, questa, che da oltre vent’anni
cerca di instillare agli uomini ed alle donne di buona volontà il desiderio di
sconfiggere il male mafioso, la corruzione, la violenza, la politica indecente che,
da sempre, toglie respiro e vita alle persone oneste, che chiude ogni spiraglio
di speranza e di futuro a chi vuole, dignitosamente, vivere da cittadino senza
dover baciare le mani a nessuno. Il suo nome, è evidente, è Don Luigi Ciotti.
Non un prete antimafia, ma un prete e basta. Ma un prete di quelli che tutti
vorremmo fosse presente nella chiesa accanto a casa. Un prete di quelli che il
Vangelo non sono parole ma, come Don Giuseppe Diana, come Don Pino Puglisi e
tanti altri senza volto e senza nome, è vita, sangue, lacrime e gioia, furore e
misericordia, giustizia e “tempi ultimi”. La vita di quest’uomo, che da anni
vive sotto scorta, è un esempio vivo di come si può interpretare nella maniera
più profonda e vera il senso d’essere prete nel solco di uomini e sacerdoti liberi
come lo sono stati, con altri percorsi Don Mazzolari, Don Milani e tanti altri
che hanno dato senso alla loro vocazione. La giornata in ricordo delle vittime
di mafia che da anni si celebra in Italia è l’esempio e la dimostrazione che
alzare la voce si può, che chiedere giustizia si deve, che essere dalla parte
dei perdenti è necessario, che non essere complici del malaffare e dell’ingiustizia
è vitale. Forse Don Ciotti è un uomo straordinario come lo sono stati Falcone, Borsellino, Chinnici, Dalla Chiesa,
Livatino e tanti, troppi altri che hanno lasciato la loro vita, il loro ultimo
respiro sulle strade insanguinato di questo Paese forse irredimibile. M al’esempio
dei vivi e di coloro che non ci sono più deve spronare, tutti, a dare un senso
ai loro sacrifici, alla loro vita spesa in nome della giustizia, per coloro che
“umiliati ed offesi” avevano smarrito il senso della dignità. Imitare Don
Ciotti e tutti quei servitori dello Stato e non che sono stati uccisi dalle
mafie è impossibile. Ma il poco che possiamo fare, facciamolo, altrimenti, come
gli ignavi della Divina Commedia, un pezzettino di quell’inferno evocato ieri da
Papa Francesco, ci attende…
Nessun commento:
Posta un commento