I sogni, talvolta, si avverano e, per alcuni, permangono come
realtà oggettiva e costante. Claudio Trotta ha scritto un libro come fosse una
sorta di regalo per i suoi sessant’anni. Il titolo del libro è “No pasta, no
show” e non vi diremo la ragione che sta dietro a questa scelta perché è bello
scoprirla nella lettura di questo testo scritto in maniera agile e rilassante
ma che, nel contempo, racchiude una vita e, forse, anche più di una. Per chi ha
il piacere di aver conosciuto Claudio Trotta, fondatore dell’agenzia di
spettacoli Barley Arts, quello che certamente non è sfuggito è la capacità di
quest’uomo di generare idee e di catalizzare attenzione. Fondamentalmente lui è
un fan, è un appassionato di musica, è una sorta di ultrà buono del suono che
ha avuto la determinazione di fare di una passione il suo lavoro. Rischiando,
soffrendo, vincendo e perdendo ma, certamente, lavorando sempre con caparbietà
ed attenzione, mettendocela tutta per rendere gli eventi musicali un piacere da
condividere con il pubblico e lavorando in particolare per garantire la
migliore fruizione della musica nella totale sicurezza. Cose magari scontate a
pensarle ma non sempre rispettate.
Ma chi ama la musica non può permettersi di
abusare della pazienza e dell’affetto del pubblico ed anche per questa ragione,
in maniera determinata ed andando controcorrente, Trotta si è imbarcato nella
“madre di tutte le battaglie” contro il secondary ticketing, quel cancro che,
se non fermato, ucciderà la musica dal vivo soprattutto di quegli artisti che
non hanno alle spalle grandi produzioni e grandi budget. Proprio perché la sua
è passione ed amore per la musica si comprende la determinazione del promoter
milanese nel combattere questa attività che non si può non ritenere come
criminale. La lettura della storia è illuminante perché racconta di come sia
stato possibile ad un “signore” incapace di suonare alcuno strumento
organizzare i concerti di alcuni tra i più grandi artisti mondiali e buttiamo
sul tavolo, a mò di carta da scopa, i nomi di Bruce Springsteen, Frank Zappa,
Stevie Wonder, Van Morrison e via
leggendo (mica possiamo scoprire il resto delle carte…). E questi i concerti
dei grandi artisti per non parlare dei grandi artisti all’interno delle
rassegne musicali…e giusto per capirci buttiamo ancora sul tavolo due grandi
eventi quali sono stati “Monster of rock”, con il meglio del “metallo” degli
anni ’90 e le tre edizioni di “Sonoria” che hanno visto la presenza di artisti strepitosi
quali, tra le decine e decine, vogliamo ricordare Bob Dylan e Peter
Gabriel…giusto per dare l’idea…(che poi la rassegna sia stata proposta proprio
nel quartiere in cui abito è uno di quelle situazioni che fanno aggiungere una
lode al giudizio, ma questo è un fatto meramente personale…).
Ma al di là del
fatto musicale (eccelso, senza dubbio…) quello che di questi eventi è opportuno
che venga ricordato, fu l’attenzione al contorno con la presenza di realtà non
solo musicali bensì anche di supporto alla musica con stand di varia natura,
usi e consumi, che fossero propedeutici alla migliore fruizione della musica
contemplando, quindi, una logica che superava il “solo” evento musicale ma che
cercasse di stimolare lo spettatore ad allargare lo sguardo in differenti
direzioni che non fossero legate alla sola presenza del fatto musicale. La
lettura del libro è davvero interessante perché scorrevole ed in certe pagine
diviene una sorta di flusso di coscienza tra eventi semiseri (come si legge nel
capitolo “In prigione, in prigione!”) e fondamentali quale l’inizio della
carriera di promoter con il primo concerto organizzato dalla Barley Arts (vedi
al capitolo “Il debutto della Barley Music: John Martyn, maggio 1979”). In ogni
pagina si respira la gioia (ed anche le preoccupazioni nel far tornare i conti,
nel fare una bella figura con gli artisti, nel mantenere alto il nome
dell’agenzia nel mondo dello spettacolo) dell’incontrare tanti artisti, con i
loro pregi ed i loro difetti e vederli all’opera sopra e fuori dal palco per
poterne anche pesare il valore umano oltre che quello musicale (e le pagine del
capitolo dedicato ai Guns N’ Roses sono esemplari al riguardo…).
Una storia a
parte è quella che riguarda il folletto del New Jersey…ovviamente parliamo di
Bruce Springsteen per il quale Trotta una predilezione particolare sia dal punto
di vista professionale ed artistico che da quello umano. Una predilezione che è
evidente in tutte le pagine in cui si parla del rapporto speciale che si è
instaurato sia con l’artista che con il suo management. Un rapporto di fiducia
e fratellanza che appare quasi irreale e fiabesco se rapportato al
“cannibalismo dei rapporti” che esiste nel mondo dello spettacolo e del
businness ad esso afferente. Nel rapporto che si è instaurato tra Trotta e
Bruce si può percepire, nettamente e nitidamente la fiducia che quest’ultimo
ripone nei confronti del manager italiano così come il rispetto assoluto che
questi ha nei confronti di Bruce. E questo, scusate se è poco, rappresenta
davvero una sorta di pietra miliare in un mondo, quello dello spettacolo (e non
solo, ovviamente…) in mano alle grandi corporations che utilizzano uno stuolo
di avvocati prima di iniziare qualsiasi rapporto di collaborazione.
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