mercoledì 13 giugno 2018

recensione di "Occhi", Eugenio Fianardi


Siamo ormai nella metà degli anni ’90, e Finardi si presenta con un album di inediti, “Occhi”, dopo che nel 1993 si è presentato al mercato discografico, e nei tour, con il progetto di “Acustica”. Cinque anni, quindi, sono passati da un album importante ma non compreso come è “Millennio”, un grande album, ricco di suoni e spunti originali e potenti. Ma nel 1996, con lo sguardo rivolto al 2000, ci si ritrova con il Teatro “La Fenice” di Venezia distrutto da un incendio, con centinaia di morti in incidenti aerei, con attentati di matrice islamica e già si incomincia a vivere con un terrorismo incomprensibile. Nel frattempo Osama bin Ladin scrive e pubblica scrive "The Declaration of Jihad on the Americans Occupying the Country of the Two Sacred Places ", un invito a rimuovere le truppe americane dal territorio saudita. A breve si vedrà che cosa intendeva dire…Fidel Castro va in visita a Giovanni Paolo II° in Vaticano….I tempi stanno cambiando…  

L’intro di “Sveglia ragazzi” vede la batteria in primo piano ed un suono deciso ad accarezzare le liriche. Il testo è di quelli che lasciano il segno perché parla dell’indifferenza, e già, per alcuni temi, il brano vedeva lontano laddove si parla di abusi, di violenza sulle donne, della mancanza di lavoro. “Se potessimo vedere quello che mai si vedrà che c'è dietro le persiane di queste nostre città. Le tristezze, le violenze, le crudeli falsità ricoperte d'apparenze e da silenzi di complicità.” Le liriche sono chiare e nette e non lasciano dubbi al riguardo. Il suono è pulito e nitido, frutto di una produzione di alto livello. “Se riuscissimo a sentire quello che mai si dirà, i pensieri più segreti che mai si confesserà. Le paure e i desideri e le meschinità, le miserie ed i rancori sotto una maschera di normalità”. E’ un brano di quelli che già dall’incipit si riconoscono come degli inni o “dei segnali di fumo” da seguire con attenzione. L’esortazione è quella di ribellarsi, di lottare, di non abbassare lo sguardo, di non essere come le tre scimmiette…Per questo il grido di “Sveglia ragazzi” è perfettamente in linea con quello che è stata tutta la produzione di Finardi, sempre con lo sguardo volto alla centralità dei diritti e della dignità delle persone. “C'è una donna spaventata, ricattata ed abusata, una moglie disperata senza più una via d'uscita. Noi teniamo gli occhi bassi, rifiutiamo di vedere Ci facciamo i fatti nostri tanto chi ce lo fa fare. Dobbiamo avere più coraggio, più forza e volontà, di guardarci dentro agli occhi e di dir la verità. Perché chi è stato derubato della propria dignità è' per sempre condannato a vivere a metà”. La chitarra elettrica conduce la danza delle note con sobrietà e con una invidiabile pulizia sonora che conduce verso una presa di posizione senza se e senza ma…”E se ci riempiono la testa solo di parole vuote, di miti da due soldi, di potere e di cazzate, noi possiamo rifiutarci di giocare la partita perchè la vita è nostra ed è appena cominciata. Un bambino abbandonato, rifiutato e non voluto sta nascosto sotto il letto per non essere picchiato. Perché il padre, a cui vuol bene, é tornato ed ha bevuto sta cercandosi un lavoro, ma non l'ha trovato”. Parole nette, chiare, dure, orgogliose per rendere chiaro ed evidente da che parte stare….certamente non dalla parte dell’indifferenza…

Con questi occhi”, scritta insieme al musicista, scrittore, poeta Claudio Sanfilippo, inizia con il suono delicato della chitarra acustica e del pianoforte in sottofondo. La voce di Finardi è quella giornate migliori. Impostata, calda, morbida, insinuante, insomma…bella…Una ballata rassicurante e solare. Una sorta di racconto di se stesso svolto in maniera raccolta, dolce e misurata. ”E quel che sono e che sarò, sulla mia faccia ha lasciato traccia che forse mai cancellerò. Non che mi piaccia, che vuoi che faccia, sono i miei occhi e con questi occhi dritto negli occhi il cielo da oggi guarderò. Vivi tutto e non cercare quel che non verrà che per quello che vuoi fare tempo ci sarà. Vivi bene ciò che viene chi ti sorriderà ed il nodo che ti tiene poi si scioglierà”. Gli strumenti lavorano come un cesellatore prepara i gioielli ed abbelliscono il brano. Da segnalare il lavoro quasi oscuro, ma essenziale e produttivo, svolto dal basso ed il tocco inconfondibile del pianoforte di Vittorio Cosma. Il tema del viaggio è sempre presente nella poetica di Finardi ed anche in questo brano la sua presenza è evidente e quasi “necessaria”, “Noi marinai di terra contadini di mare, che con il coro non sappiamo mai come cantare, noi volatori stanchi senza pista d'atterraggio che per inerzia o per fortuna ci troviamo sempre in viaggio”. lI viaggio come metafora della vita, del cambiamento, del passaggio, del tempo che non passa o che passa troppo in fretta…insomma, la vita che scorre e che prima o poi comprenderemo grazie all’esperienza…Forse… 

E’ un titolo strano “Shamandura”, che rappresenta l’immagine di un ormeggio galleggiante, non fissato quindi, presente nel Mar Rosso, e non solo, per evitare di danneggiare la barriera corallina con l’avvicinarsi degli scafi. Il bisogno narrato è, quindi, quello di trovare, nel corso del viaggio della vita, un ormeggio, anche non solido né fisso ma, almeno, sicuro…La musica procedere con un incedere lento, metronomico, ipnotico. E’ l’incedere di un passo, del solcare le acque, del passaggio da un luogo ad un altro, da un tempo ad un altro….”Si guarda intorno e vede il mondo che gli sembra fuori di testa si guarda dentro e si accorge che ha tutto quello che basta. Ha buone gambe per camminare verso la riva del mare ha buone spalle e sa anche nuotare e occhi che sanno sognare. Una barca aspetta solo che lui si metta al timone e una rotta che lo porterà dritto dentro nel sole”. Come sempre all’artista milanese piace rischiare, e questo è certamente un brano rischioso perché non ha impennate strumentali o canore, se non per il coro di voci che accompagna le liriche cantate da Finardi. “E con un po' di fortuna una Shamandura lì dove nasce la luna come una radura. Dal blu profondo del mare  una Shamandura, lì' ci potremo fermare per una notte sicura. Non guardare verso l'orizzonte, tu guarda solo le vele senti le onde e sotto la corrente. Lo scopo é di navigare…mira alle stelle e calcola il punto e stringi più forte il vento. Lasciati a poppa i rumori del porto, la meta non ha più senso e se la tempesta ti spingerà verso una spiaggia deserta tu assecondala e forse sarà un'imprevista scoperta”. Lasciarsi andare, non dare nulla per scontato, non avere pregiudizi…forse è questo che sta nella ricerca di una strada da percorrere nella vita…L’arpeggio della chitarra acustica è delizioso e non invadente per una sorta di canto a mò di un “mantra” sonoro e lirico molto originale.  

“Rock & roll city” possiede un intro di natura rock virato verso un suono “rollingstoniano” (anche se il giro di chitarra è molto “milanese”), mentre l’armonica suonata in maniera febbrile da Finardi, dà un taglio potentemente blues al brano. ”Mi hai lasciato qua solo per le strade di questa città mi manchi da morire e non lo sai che solo come qui non sono stato mai New York New York Town, with no pity, New York New York Rock & Roll city. Ieri sono andato a fare un giro fino in fondo a Chinatown, cercavo da mangiare e magari di trovare un nuovo sound Una voce scura chiede: “Hey man, un dollaro ce l’hai? Se il blues vorrai cantare C’é un prezzo da pagare e tu lo sai!”. Visto che l’album è stato inciso anche a New York, presso gli studi Power Station, è possibile immaginare che questo brano prenda spunto da ispirazioni locali, viste le indicazioni che sono inserite. Un brano con un bel sound, energico e vitale, con un mood tipicamente americano. Il basso e l’elettrica sono come dei piccoli arcobaleni che sorgono ai piedi delle liriche e l’armonica ricuce tutto con maestria e con la qualità di un artigiano delle note.    
Un uomo” è la prova della straordinaria vocalità e musicalità intrinseca nel corpo/anima di Finardi. Pianoforte e voce, al servizio di un canto interpretato come fosse un madrigale di particolare bellezza. “Lei non lo sapeva ma aspettava un uomo che la scuotesse proprio come un tuono che la calmasse come un perdono che la possedesse e fosse anche un dono. Era tanto tempo che aspettava l'uomo che la ipnotizzasse solo con il suono di quella sua voce dolce e impertinente che proprio non ci poteva fare niente”. Il testo è denso, pieno di rimandi alle difficoltà del vivere le relazioni, eppure anche per la ricerca di queste per arrivare all’amore assoluto, spirituale e carnale, un amore che non si può descrivere perché fatto di piccole cose gradi ed infinitesimali, semplici e grandi al contempo. “Che la fa sentire intelligente bella, porca ed elegante come se fosse nuda tra la gente ma pura e santa come un diamante. Un Uomo dolce e duro nell'amore che sa come prendere e poi dare con cui scopare, parlare e mangiare e poi di nuovo farsi far l'amore. Per seppellirsi tutta nell'odore che le rimane addosso delle ore che non si vuole mai più lavare per non rischiare di dimenticare. Che le ricordi che sa amare, un uomo che sappia rassicurare che la faccia osare di sognarsi come non é mai riuscita ad immaginarsi”. Il testo è senza dubbio unico nella discografia italiana sia per quanto raccontato ma, soprattutto per come è cantato (il sogno sarebbe di poterla ascoltare cantata dalla divina Mina….). Il suono delle trombe e del flicorno in sottofondo si raggiunge quell’atmosfera un po’ elisabettiana e/o, comunque, di antica foggia…Un uomo pieno di tramonti distanti, di racconti e d'orizzonti che ti guarda e dice: "Cosa senti?" Come se leggesse nei tuoi sentimenti. Un uomo senza senso anche un po' fragile ma così intenso con quel suo odore di fumo denso di tabacco e vino e anche d'incenso Impresentabile ai tuoi genitori così coerente anche negli errori proprio a te che fino all'altro ieri ti controllavi anche nei desideri. Tu che vivevi nell'illusione di dominare ogni tua passione tu che disprezzavi la troppa emozione come nemica della ragione. Non sei mai stata così rilassata così serena ed abbandonata così viva e così perduta Come se ti fossi appena ritrovata. Un Uomo dolce e duro nell'amore che sa come prendere e poi dare con cui scopare, parlare e mangiare e poi di nuovo farsi far l'amore”. La voce è strepitosa e la capacità evocativa di Finardi si dispiega in tutta la sua ampiezza e capacità per un brano davvero unico ed irripetibile…

Scritta da Finardi insieme a Vittorio Cosma, Claudio Sanfilippo e Saverio Porciello, “Dopo l'amoreè essenziale, con il canto del coro che sottolinea il ritornello. Una canzone piena di malinconia e di emozioni che sa raccontare i sentimenti di una relazione e, soprattutto, di che cosa c’è dopo/oltre l’amore.Dopo l'amore non c'è niente che ti vada di fare, dopo l'amore non sai più con chi parlare; dopo l'amore giri perso tra gli sguardi della gente dopo l'amore non t'importa più di niente. E guardi tutta notte la televisione e ti trovi a piangere come un pirla per una stupida canzone. Dopo l'amore non c'è niente che ti faccia più volare, dopo l'amore si ha paura di sognare”. La musica è essenziale, misurata, limpida e lieve al contempo ed è assolutamente al servizio delle liriche che raccontano di quanto sia possibile trasformare se stessi attraverso l’emozione dell’amore, che è un sentimento straordinariamente unico…”Perché l'amore è forte più forte della fame non si può comprar con l'oro non si vende come il pane
Perché l'amore è forte ma fragile come vetro e s'incrina per un sospetto e poi s'infrange su di un segreto. Perché l'amore è forte e se è puro come un bambino c'è chi giura che vince anche la morte che piega anche il destino”.
Una frase, questa, di strepitosa incisività e bellezza.
Dopo l’amore
è un piccolo capolavoro della discografia di Finardi perché racconta di storie “normali”, di emozioni quotidiane e condivise” che superano il tempo e lo spazio. Situazioni che possono capitare a tutti. Ma queste storie sono scritte in maniera assolutamente straordinaria ed incisiva. “Dopo l'amore ti ritrovi senza più un amico al mondo, dopo l'amore sembra di toccare il fondo, dopo l'amore vai cercando per le strade e tra la gente qualcuno a cui poter parlare ma a nessuno frega niente. Perché il mondo non si ferma, il mondo guarda avanti e sono tutti così presi, sono tutti così distanti Il mondo é pieno di amanti che si danno tenerezza Il mondo non ha più voglia di tristezza. E ti trovi alle quattro del mattino sotto una finestra a immaginare chi le sta vicino e passi per vedere se la sua macchina è sotto casa e vorresti poter sapere ma non sai nemmeno tu che cosa. E come dal corpo una goccia di sudore un giorno ti svegli e ti rendi conto che ti è uscita dal cuore. Come passa la febbre e si guarisce dal dolore dopo l'amore non c'è altro che l'amore. Dopo l'amore non c'è altro che l'amore, dopo l'amore non c'è altro che l'amore…”. Una canzone da ascoltare con grande attenzione e consapevolezza della capacità di Finardi di entrare nelle corde di eventi ed emozioni che, altri, non saprebbero raccontare…

Uno di noi” (di Brazilian e Finardi), ripresa della canzone “One of us”, cantata da Joan Osborne, si apre con il suono dell’Hammond e della chitarra elettrica e racconta del pensiero di Dio come una persona qualunque, uno di noi, con tanti problemi a cui badare…insomma, un povero Cristo a cui è demandato il rispetto delle leggi dell’Universo e la “gestione” degli affari dell’umanità. Un brano originale sia nel testo che nella musica, molto cadenzata fino all’ingresso del suono dell’armonica, sempre ficcante…”E se Dio fosse uno di noi solo e perso come noi. E se Lui fosse qui seduto in fronte a te diresti sempre sì o chiederesti: "Perchè mai ci hai messo qui con tutte queste illusioni e tentazioni e delusioni. Io so cosa farei Lo guarderei dritto negli occhi E chiederei se c'era almeno una ragione o se è una punizione oppure è stato solo un caso o una disattenzione”. E’ la solitudine di Dio che viene tirata in causa, una solitudine su cui si sono interrogati filosofi e teologi (chi non ricorda la domanda “Ma ad Auschwitz, Dio dov’era…?”). è una visione originale ed interrogativa quella che viene posta con questo brano. Un visione che merita attenzione perché, comunque, “il fatto religioso” è inscindibile nella vita dell’uomo….ma certamente “E se Dio fosse uno di noi solo e perso come noi anche Lui con i suoi guai nessuno che Lo chiama mai solo per dire: "Come stai?" E invece chiedono attenzioni, di far miracoli e perdoni oppure dare assoluzione, nessuno che Lo chiama mai Solo per dire: "Come stai?". A Dio tutti chiedono qualcosa per sé, ma di lui, sembra voler dire il testo, a qualcuno interessa veramente? Il finale è minimalista e, quasi, interrogativo…

Suono etereo, molto fluido ed anche “misterioso”. Una canzone onirica che rappresenta il senso della leggerezza….”Nell’aria” è una canzone eterea che si libra nello spazio…”Non la senti quest'aria stasera in questa notte così scura, questa notte nera ma non riesci a sentire quant'é pura così fina che fa quasi paura. Non la senti, io la sento e mi ci sento toccare ne sento l'odore, ne sento il sapore che sa di lontano, che sa di mare. Chissà cosa mi vorrà dire cosa cerca di sussurrarmi forse di fare l'amore, di lasciarmi andare o forse invece di prepararmi, di fare le valige e di partire chissà dove mi potrebbe portare se ti lasciassi, se mi arrendessi se mi facessi trasportare nell'aria su quest'aria nell'aria in quest'aria”. Il testo è molto particolare e si “mischia” con sonorità che riportano ad un certo suono “cosmico” dei famosi “Corrieri” di teutonica memoria…Un brano che ancor di più manifesta la poliedricità di un album fuori dagli schemi della discografia o, forse, della maturità di Finardi. “Quest'aria che ne porta il sapore e l'odore la paura e la voglia di navigare, di volare, di lasciarmi andare sì anche di fare l'amore ma non con te che non hai mai ascoltato, che non hai mai cercato che non hai mai capito nulla di me che non ti stai nemmeno accorgendo che mi sta chiamando e io sto rispondendo che ho scoperto di avere le ali e le sto aprendo e sto volando. Nell'aria su quest'aria nell'aria in quest'aria non la senti, ma non la senti io la sento io la sento oh sì la sento la sento dentro ci sono dentro e mi sostiene e sto volando e volo bene ti sto lasciando, dimenticando ti ho già lasciato e volo bene. Nell'aria quest'aria volo sull'aria in quest'aria, nell'aria  su quest'aria nell'aria in quest'aria…”. E’ palese la manifestazione di una nuova dimensione e consapevolezza, del desiderio di lasciarsi andare e cambiare vita, cambiare ogni riferimento della vecchia vita per volare verso altri orizzonti, aspettative, vite…Una pagina di vita che si chiude ed altre che attendono di essere girate…

E’ una piccola gemma “Potevi essere tu” (che ricorda “Zucchero” di un ventennio prima…). Una canzone deliziosa e straordinariamente ricca di parole appropriate, suggestive, nostalgiche. L’immagine che appare nell’ascolto della canzone è quella di una grande sala da ballo con damine del settecento a guardarsi intorno alla ricerca del “cavaliere” ideale. Il suono delle tastiere all’inizio del brano rende l’idea di un tempo lontano e perso nella memoria. Canzone d’altri tempi, o forse no, perché le liriche possono essere valide per ogni tempo perché l’amore è un sentimento che non ha tempo….”E pensare che potevi essere tu a scaldarmi il cuore. E pensare che pensavo che fossi tu il mio nuovo amore vestita di un'ala di farfalla. Sul tuo corpo da gazzella tu luminosa stella di tutte la più bella. Eri dolce da tenere nei miei pensieri acqua di desideri; eri pane, eri fame, occhi verderame grandi come misteri. Eri onda, mare e vento da annusare, un cavallo da accarezzare eri dura come il ferro e calda come burro, tutta da mangiare”. Un testo breve ma molto particolare che si potrebbe avvicinare più al “Cantico dei Cantici” che al semplice testo di una canzone. Una canzone davvero unica e da riscoprire…come tante altre dell’artista milanese…

Chiude a chiave la porta sapendo che non tornerà. Cerca un'ultima volta qualcosa che la fermerà ma poi si vedrà nell'alba che si vede già la luce é l'unica amica che ha e sa che la guiderà e la proteggerà.” Questo l’incipit lirico di “Alba” una canzone che ricorda, nella dinamica degli eventi  She’s leaving home” dei Beatles. Il basso forte e potente sostiene il suono delle tastiere e del pianoforte, con le voci del coro che sono straordinariamente suggestive e si esprimo con la stessa intensità di quella di Clare Torry in the “The great gig in the sky” dei Pink Floyd. Profondo e suggestivo, inoltre, il suono suggestivo del sax. “Fa un po' freddo ed é stanca ma sente che fra poco avrà tra le braccia e sulla faccia Il vento che la pungerà. E anche se andare via sarà la sua prima follia, pensa a sua madre e alla vita che fa e lei non ci sta. Almeno lei vivrà….cieli aperti e deserti con il cielo che ti coprirà. Notti belle di stelle e la luna che conosce già tutto ciò che vuoi che dentro al tuo cuore ce l'hai di viaggio in viaggio lo riscoprirai, lo riconoscerai e non lo perderai mai”. Anche in questo caso si parla del viaggio, del desiderio di distaccarsi dalla realtà conosciuta per raggiungere altri obbiettivi, per determinare se stessi, per costruirsi un futuro in maniera autonoma e radicale. Una canzone di crescita…Grande pathos pur nella semplicità della linea melodica. Una canzone costruita “in sottrazione” per dare forza ed enfasi al testo….   

Sono quello che sono” si apre con un colpo di batteria per sottolineare un brano molto particolare in quanto Finardi, in maniera allegorica (ma non troppo) si mette a nudo cercando di mostrare i propri difetti e l’intenzione a cambiare registro… “Sono quello che sono non sono quello che tu vuoi. Oh, sono quello che sono e non quello che tu credi che sai. Io sono quello che sono forse non quello che vorrei ma potrei anche cambiare, se tu mi aiuterai”. La volontà del cambiamento è presente nei desideri del soggetto della canzone. Un desiderio che ha bisogno di avere una complicità…”E' vero sono complicato ed è anche vero che sono spesso maleducato e che penso troppo a me. Se a volte sono impaziente è solamente che io non sopporto quando la gente mi critica inutilmente solo perché sono quello che sono non faccio ciò che tu vuoi. Oh, sono quello che sono e non quello che tu credi che sai Io sono quello che sono forse non quello che vorrei ma potrei anche cambiare se tu mi aiuterai”. A tempo ritmato scorrono immagini di vita quotidiana, di vita vissuta, non quella dei fumetti…Il suono delle tastiere è accompagnato dalle percussioni e da un ritmo sincopato…”In vita mia ne ho viste tante e ne ho fatte ancor di più ma ciò ch'é più importante e che ne voglio sempre di più e non me ne frega proprio niente se ti sembra che alla mia età si dovrebbe essere accomodante Io voglio andare sempre più su perché sono quello che sono non faccio ciò che vuoi… Oh, sono quello che sono e non quello che tu credi che hai, io sono quello che sono forse non quello che vorrei ma ti potrei anche stupire Se solo lo vorrai” Seguendo le liriche fino alla fine, accompagnate dal sottofondo del suono del sax, il brano appare proprio come una sorta di confessione per cercare di rispondere a se stesso in una modalità di autocoscienza. 

L’album termina con un brano “inatteso”: “Lucciola”, che è la storia di una prostituta “redenta” da una persona che scopre di volerle bene per quella che senza giudizi inutili. “Da come guarda verso il fuoco si capisce che non ce la fa più sulla statale è quasi l'alba sono lucciole i suoi occhi blu e l'orizzonte è un faro che si perde...Col motocarro e i copertoni lui non sogna che di portarla via verso la terra dei limoni via dai quei falò di periferia ma questa notte troverà il coraggio..”. La musica che accompagna le liriche è morbida e delicata, con il pianoforte che prende per mano le parole…” un brano “inatteso” perché il rischio del melodramma è sempre dietro la porta per chi di mestiere fa il cantautore, ma in questo caso è la poesia semplice che riesce a non rendere anacronistico il tema narrato  nel brano. “Lucciola si accese e illuminò il suo cuore lucciola si arrese e si stupì di quell'amore...Lucciola che strano tenersi per la mano lucciola che vola adesso che non è più sola...”. l’album termina con una nota di speranza, con il desiderio di non perdere la libertà accarezzata, il desiderio della vita senza costrizioni, la voglia di volare….

Musicisti:
Eugenio Finardi, voce, armonica, sequenze midi
Jerry Barnes, Carla Cook, cori
Katrees Barnes, Hammond e cori
Joe Caro, chitarre
Ivan Ciccarelli, batteria
Mino Cinelu, Percussioni, batteria e sequenze midi
Vittorio Cosma, pianoforte, piano Rhodes, tastiere e sequenze midi
Franco Cristaldi, basso
Kenny Davis, basso e contrabbasso
Alex Foster, saxofoni
Tiziano Lamberti, piano Wurlitzer e Hammond
Emily Mitchell, arpa
Francesco Saverio Porciello, chitarra classica, acustica, elettrica
Roberto Priori, chitarra acustica ed elettrica
Elio Rivagli, batteria
Lou Soloff, trombe e flicorno
Mitch Stein, chitarra classica, acustica ed elettrica
Rachel Z., pianoforte, tastiere, sequenze midi

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