domenica 17 marzo 2019

Davide Van De Sfroos al teatro Ciak di Milano per “Tour de nocc” – 14.3.2019



Tour de nocc”, turno di notte…E’ questo il titolo che Van De Sfroos ha voluto dare al suo nuovo tour nei teatri che sta ottenendo un grande apprezzamento dal pubblico che partecipa caloroso come caloroso è stato l’abbraccio di ieri sera, al Teatro Ciak di Milano. Circondato dall’abilità strumentale del sempre bravo e passionale Angapiemage Galiano Persico, dal preciso e tonico suono di Riccardo Luppi ai sax tenore, soprano e flauto traverso, dalle chitarre elettriche ed acustiche di Paolo Cazzaniga e dalle percussioni e ritmi (incluso l’affascinante hang) di Francesco D’Auria, Van De Sfroos ha riempito il buio del teatro sciorinando una serie di visionarie esternazioni che lo hanno fatto emergere e somigliare, ancora una volta, agli affabulatori raccontando storie di cui parlava sempre il grande Dario Fo, che dalle storie del lago Maggiore ha tratto tante delle figure iconiche che hanno animato le sue storie. E Van De Sfroos, raccogliendo l’eredità di affabulatore del “sommo” di San Giano, si è cimentato, nei momenti di parlato (molto affascinante quello che lo ha visto “duettare” con il violino di Anga, che traduceva in note le indicazioni visionarie del suo mentore…) in coraggiosi accostamenti artistici trasformando dei passaggi letterari di grandi scrittori italici, in una sorta di musicisti capaci di trasferire in nuovi suoni antiche parole. Così si sono affacciati sulla scena Dante, Petrarca, Leopardi, Foscolo, Manzoni dimostrando che il “vecchio” può legarsi al “nuovo” senza perdere un grammo di potenza evocativa. Altrettando simpatico la dissertazione sulla lunghezza, quasi onirica, di alcuni nomi di grandi artisti quali, ad esempio, quello chilometrico di Picasso. E per finire, quasi a volersi legare alla mitica figura dello Zanni reinventato dal grammelot di Fo, Van De Sfroos ha imbastito un racconto legato a momenti di difficoltà/benessere gastrico che ha coinvolto il bravo Anga in un siparietto comico, ironico e carico di “grassa leggerezza”. 

Nel corso della serata tanti sono stati i momenti di visionarietà che hanno dato nuovo lustro a canzoni che pur ascoltate cento volte riescono sempre a coinvolgere chi le ascolta perché hanno una potenza poetica che si nasconde dietro apparente semplicità e cantabilità. Un po’ come accade per Anga che riesce costruire e proporre accordi e passaggi ritmico-melodici “arditi” facendoli arrivare al pubblico quasi fossero “cose” semplici e naturali. Così, iniziando con l’ascolto di “40 pass”, raccontata e non cantata da parte dell’artista lagheè, si sono snodate le visioni di Van De Sfroos, a partire dal racconto de “La nocc” che ha condotti tutti gli spettatori nella magia di una canzone immaginifica e senza tempo qual è “Pulenta e galena fregia”, un brano magico e misterioso che, ogni volta affascina a stupisce. E come portato dal vento è arrivato il mondo passato, lontano e malinconico che ruota intorno ad un mitico “Yanez” che il grande Soriano avrebbe vestito con le parole del titolo di un suo fortunato libro qual’è “Triste, solitario y final”, dimostrando che la bellezza piò essere trovata anche nel rimpianto e nella nostalgia infinita che, prima o poi, colpisce tutti coloro che hanno un’anima. E da una tristezza si passa alle storie nascoste in un “Grand Hotel”, dove le apparenza, alla fine, non nascondono la fatica del vivere e del condividere la vita con chi ci sta quotidianamente accanto, nel lavoro come nella vita… Poi, come una sorta di bonaria giungono dal palco le note de “Lo sciamano”, colui che annusa l’aria, parla con il tempo, gioca con gli elementi, cerca il futuro nelle pieghe del passato per superare il presente che, all’improvviso, è già finito. “La dove non basta il mare” è una sorta di riflessione sul senso della vita e sulla profondità della ricerca di senso al tempo che scorre e che non possiamo fermare. “Ninna nanna del contrabbandiere” nasconde il bisogno di coraggio e di speranza alla ricerca di una luce, anche divina, che possa accompagnarci nelle fatiche del quotidiano. 

Madame Falena” è sempre magica ed oscura, con una forza ed una potenza di cui sembra, talvolta, sfuggirci la grandezza evocativa. Bussa alla porta anche uno dei personaggi cardine di Van De Sfroos, quel “Genesio” che, certamente, ci rappresenta e ci esorta a non abbandonare mai la speranza anche quando la vita pare sfarinarsi intorno a noi e dentro di noi…In quei momenti in cui tutto pare spegnersi è il momento di alzare lo sguardo e cercare nel refolo del vento la giusta direzione. E su una barca, accompagnati e spinti da “Breva e Tivan” è possibile ritrovarsi e tornare a sperare in un approdo sicuro per superare le nostre tribolazioni. “I ann selvadegh del Francu” è una rilettura in dialetto lagheè del brano “Frank wild years” chiesta all’artista monzese dal Club Tenco. Una rilettura geniale e discorsiva che mantiene integra tutta la dinamica del brano proiettando e trasformando il suo incedere da murder ballad a qualcosa di sinistramente famigliare…”La poma” è il sigillo, anche musicalmente, ad una serata giocata in punta di piedi, senza accelerazioni particolari ma tutta molto attenta alle sfumature ed alla capacità di evocare, con garbo e profondità, i temi popolari ed onirici, spirituali e totemici, racchiusi nei testi di Davide Van De Sfroos il cui canzoniere sta iniziando a diventare davvero importante, anche dal punto di vista numerico… Il concerto sarebbe “tecnicamente” terminato ma c’è ancora tempo per due bis quali la “Curiera”, “La figlia del tenente” ed “Il paradiso dello scorpione”, brani musicalmente agli antipodi che hanno fatto sobbalzare il pubblico che ha acclamato Van De Sfroos ed i suoi musicisti, in maniera calorosa e sincera, dimostrando di avere apprezzato il concerto e questa nuova formula che, ancora una volta, rende questo artista unico nel panorama della canzone nazionale. 

Le oltre due ore e mezza dello spettacolo sono finite in un baleno, segno che quanto avvenuto sul palcoscenico è arrivato in platea in maniera diretta e proficua, dimostrando che la grandezza dell’arte non sta nei decibel distribuiti, dagli effetti speciali, dal battage pubblicitario ma, soprattutto, dall’originalità di chi riesce a dare senso all’arte osservando il mondo intorno a sé e descrivendo quello che si vede e, soprattutto quello che non si vede, ciò che noi siamo nelle condizioni di percepire ma non di nominale e qualificare. Davide Van De Sfroos, da bravo Sciamano qual è, legge il tempo, il vento, la notte e sa tradurre tutte le voci che non siamo capaci di ascoltare, ormai ovattati e nascosti dal brusio del nulla che ruota intorno a noi. Ma per fortuna gli Sciamani vegliano e fanno tuonare i tamburi nascosti nelle nostre anime… Un concerto sereno, un concerto garbato, un concerto evocativo che ha visto anche l’intermezzo musicale del virtuoso della chitarra Fabio Lossani che ha duettato con il violino di Anga creando atmosfere di stordente bellezza sonora e che ha visto la presenza del supporto fondamentale di un suono percussivo ricco di sfumature che hanno accompagnato le liriche delle canzoni. Il suono percussivo e morbido di D’Auria ha reso ancora più evocative alcune melodie che ne sono state come assorbite e trasfigurate. E l’uso dell’hang, strumento incredibile per il suo cromatismo sonoro ha reso bene la parte assegnata. La chitarra elettrica di Cazzaniga ha ben lavorato in accompagnamento colorando, con ritmi differenti, le canzoni e, talvolta, si è trasformata diventando una chitarra basso d’accompagnamento. Anche la parte acustica è stata ugualmente arricchente. Entrambi i musicisti, comunque, hanno lavorato con grande levità alleggerendo il peso del suono ma “incoronando”, con le note, i testi delle canzoni. 

Di Anga abbiamo detto sia in questa che in altre occasioni: è un grande musicista, colto e popolare al contempo, capace di costruire ritmi indiavolati e sciamanici così come lievi e tenere, malinconiche e nostalgiche sonorità archetipe che arrivano dirette al cuore, riuscendo a fare entrare chi ascolta in una sorta di mondo fatato senza tempo, senza ingressi, senza uscite, imprigionando ciascuno in una deliziosa trama sonora senza fine. Il suono del sax e del flauto traverso del maestro Luppi è stata la sorpresa forse di maggiore impatto della serata. Con una sonorità che ha sciorinato memorie di Wynton Marsalis, Jan Anderson (in certi passaggi il Van Morrison di “Spanish steps” ed in altri il fraseggio di Ennio Morricone) questo straordinario musicista ha riempito di nuove suggestioni il quaderno musicale di Van De Sfroos confermando che la scelta di quest’ultimo di inserire il suono di sax e flauto traverso è stata davvero vincente e, soprattutto, convincente. Sono percorsi sonori nuovi quelli che l’artista monzese/comasco/lagheè sta testando alla ricerca di una nuova veste alle sue canzoni che, per quanto abbiamo ascoltato, hanno saputo adattarsi molto bene a questa modalità espressiva. Il “Tour de nocc” continua su altri pachi ed altre città. A breve, tra l’altro, è prevista l’uscita di un suo nuovo libro. Lo leggeremo con attenzione sicuri di trovare disseminati al suo interno elementi di riflessione che possano essere d’aiuto per riuscire ad osservare “le cose della vita” con la giusta riflessione e profondità d’animo. 

Per mettere, magari, a tacere l’ansia per il buio che pervade il buio intorno a noi. E qualche volta anche dentro di noi…All’uscita del teatro mi guardo intorno...Attendo “una curiera” che mi riporti verso casa ma non la vedo all’orizzonte. Me ne farò una ragione ma di questi tempi credo proprio che di “una curiera” che ne sia un grande bisogno perché quello che manca ai giorni nostri è il senso di comunità e quella che Davide Van De Sfroos ha saputo creare è proprio questa: una comunità dove riconoscersi, dove sia possibile avere valori comuni di riferimento e comprendere che la cultura popolare passa anche attraverso l’ascolto di parole forse di difficile comprensione al primo ascolto ma poi capaci di diventare un elemento di aggregazione tanto che alla fine quel dialetto ti sembrerà di conoscerlo da sempre.

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