venerdì 25 settembre 2020

Ghosts

 Che ci potesse essere “qualcosa” di nuovo e di antico allo stesso tempo mi era venuto alla mente nel vedere il film documentario “Asbury Pak: riot, redemption and rock and roll”. La storia di una città del New Jersey, con la sua storia gloriosa dei primi del novecento, la sua crescita, le sue discriminazioni razziali, il dopoguerra con tutte le sue contraddizioni, il mondo giovanile del rock and roll, la rivolta degli afroamericani stufi di essere umiliati. Una rivolta, però, distruttiva, che portò al declino della città, delle sue occupazioni e del suo orgoglio. Nel film viene raccontata questa storia ma, anche, quella di quei giovani che, nei primi anni ’60, imbracciarono una chitarra e andarono alla ricerca della gloria. Tra i tanti a raccontare e raccontarsi ci sono Southside Johnny, Bobby Bandiera, Steve Van Zandt, Garry Talente e Bruce, ovviamente. Tutti a raccontare con gioia ma, anche, con una vena di nostalgia gli anni della propria gioventù, dei sogni, realizzati o meno e Bruce, come Totem inarrivabile, forse più emozionato di tutti. “Asbury Pak: riot, redemption and rock and roll” non è stato editato in dvd ma è presente in rete e merita di essere visto.


E adesso, con l’uscita “Ghost” lo si può anche ascoltare…e se le prime due canzoni del nuovo album sono quelle ascoltate possiamo immaginare la potenza che questo lavoro potrà esprimere. Già il fatto che i due vide proposti sono in bianco e nero è un segnale evidente dell’importanza che si vuole dare alla forza evocativa delle immagini. Una forza che arriva ancora più forte osservando le immagini di “Ghosts” dove entrano altre immagini, quasi tutte a colori, dove il passato è pienamente presente. Entrano i Castiles, con i primi passi di Bruce nel rock and roll ed una porta ci introduce simbolicamente in quel mondo di sogni, di spensieratezza, di desideri. Poi le immagini di ragazzi in una sala da ballo rendono l0idea dell’aggregazione di quei gironi pieni di avventure e di sogni. E’ il passato che arriva, prepotente, a bussare alle porte del mistero della vita di ciascuno di noi. Un passato fatto di musica, di volti, di amori, di speranze, realizzate o meno.

Bruce, dopo la riflessione e l’introspezione di un album profondo come “Western Stars” è ritornato sulle strade delle sue origini, dove è cresciuto, musicalmente ed umanamente, ed ha nuovamente abbracciato le sue radici stradaiole mettendo in prima linea la “sua” band, la sua famiglia ed inserendo le immagini di un Danny Federici con i baffi e di un Clarence Clemons ancora snello. Immagini probabilmente del 1975. Mentre la canzone si snoda con le sue liriche nostalgiche ed un riff strepitoso, altre immagini ci vengono incontro a raccontare frammenti di storia inorgogliendoci per la presenza del “nostro” stadio Meazza (“ciao Milano…ciao San Siro…”) imbattibile ed indistruttibile arena di alcuni dei suoi set migliori…Il bridge chitarristico è favoloso, la batteria di Max, possente come sempre, il sax arriva fresco e diretto, le chitarre cantano e organo e pianoforte sono il giusto e saporito condimento per un brano ricco di sfumature, storie e futuro che solo un monumento del rock come Bruce poteva concepire. Un monumento né da osservare né da venerare ma da ammirare come elemento di grandezza artistica che riesce sempre a sorprenderci.

Le immagini in bianco e nero rendono bene l’idea di una banda forte e coesa, di una fratellanza che si rinnova, di un patto mai sciolto di fedeltà assoluta al proprio Boss riconosciuto perché capace di non essersi dissolto con astute trasformazioni oppure nascondendo anche a se stesso le proprie fragilità. Bruce, invece, dimostra di essere ancora capace di creare con potenza ed energia, con l giusta concentrazione ed ossessione per la perfezione, costruendo, così, non solo una canzone ma una sorta di storia della sua vita e della sua generazione in poco più di cinque minuti. Suoni lontani di chitarra, una voce severa che arriva dal passato e dai sogni, un fantasma che si muove nella notte, come fosse uno Spirito che genera bisogno di amore. La forza della vita che scorre anche quando ci si trova nella solitudine. Ci sono immagini di quotidianità (una giacca, stivali…) ed un senso di attesa per qualcosa che non si riesce mai ad afferrare pienamente. E poi arrivano le immagini della musica, di strumenti e amplificatori, di una band con cui suonare ed una persona da amare e dalla quale essere amato. “Fratello e sorella ci vediamo dall’altra parte” e “Si, sto ritornando a casa” rendono bene l’idea di una visione fortemente introspettiva di un brano fragoroso, cantabile e ballabile. Ma è nella natura di Bruce nascondere la profondità dei sentimenti presenti nei testi con la forza evocativa della musica. E’ evidente che il testo si presta a molte interpretazioni. C’è la presenza del padre, ci sono Danny e Clarence, c’è la sua adorata Patti…? Probabilmente ci sono così come sono presenti molti altri elementi. Ma l’immagine più potente del video è, forse, quella in cui Bruce sta camminando con sottobraccio dei volumi uno dei quali potrebbe essere il suo ennesimo quadernone a righe, per i testi. Il suo Sancta Santorum, il suo Santo Graal che lo accompagna da sempre e che ci permette di sognare e sostenere anche le delusioni della vita, di bere, talvolta, il calice amaro della delusione.

Ma, talvolta, arrivano fantasmi dal passato a portarci un lampo di luce per rischiare il cammino arduo della vita.

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