domenica 15 novembre 2020

Carisma

 

Spesso il problema non il fare ma il carisma di chi si impegna a fare. Quando ero un ragazzino, e poi un po' più grandicello, mi colpivano certamente i pensieri, le parole, le idee che circolavano in quegli anni (’60 e ’70) ma tutto diventava vero e vivo in funzione della credibilità, del carisma, di chi le pronunciava, di chi se ne faceva interprete. Queste persone riuscivano ad aprirmi “le porte della percezione” senza che lo chiedessi. Erano naturalmente credibili e riuscivano ad accendere fuochi di bellezza e di desiderio che, nel tempo, ho incontrato con fatica. Nei giorni oscuri che stiamo vivendo avremmo fortemente bisogno di persone così potenti e, invece, da una parte latitano e, dall’altra, e penso a Padre Bartolomeo Sorge, si spengono per l’età. Parlare di ideali, oggi, è praticamente impossibile e davanti a noi la prateria del pensiero è totalmente inaridita e per trovare momenti di “passione” bisogna correre con lo sguardo al passato e riprendere in mano storie quasi dimenticate oppure osservare quello che sta facendo Papa Francesco: riformare la chiesa con una testimonianza raso terra che tanto fa “impazzire” i Giuda sempre presenti nella Storia.

Non dovremmo avere bisogno di eroi o meglio, li abbiamo, ma sono molto bravi a celarsi allo sguardo. Sono sulle ambulanze, sono nei reparti ospedalieri, sono quelli che portano la spesa a casa di chi non può uscire, sono quelli che pagano la spesa a chi non può farla come si deve. Sono quelli che assistono i senza fissa dimora, sono quelli che servono (e non si servono) degli ultimi, sono quelli che si avvicinano alla tavola degli ultimi per riempirla di pietanze. Sono quelli che non li vedrai mai in prima fila. Ne ho in mente tanti, ma tanti, ma proprio tanti. Invisibili agli occhi, nascosti dalla ribalta, sempre indaffarati quando ci sarebbe di ricevere un applauso che rifuggono con gioia…Sempre con il sorriso anche quando ci sarebbe da piangere. Sono coloro che salvano il mondo anche quando pensiamo che non facciano nulla di particolare. Vanno, magari, a servire “a casa loro”, a rischiare la vita sotto le bombe, cercando di osservare, magari a loro insaputa, le parole del Talmud quando afferma che “chi salva una vita salva il mondo”.

Questa sera mi è arrivato questo pensiero guardando una vecchia fotografia su facebook. Probabilmente del 1966. Una fotografia in bianco e nero, del tempo in cui i Beatles non avevano ancora pubblicato “Sergent Pepper’s…”, dell’anno in cui il Che pensò che fare il Ministro non fosse il suo mestiere, l’anno dell’alluvione di Firenze…l’anno iniziava ad anticipare il ’68…Questa foto semplice, umile, dimessa mostra alcuni giovani, nel pieno della vita, presi a giocare in una località montana (Barzio, San Giovanni Bianco…chissà…?) e di spalle/profilo si vede la figura di un giovanotto, all’epoca neppure trentenne, con camicia di flanella da boscaiolo (qualche anno dopo si sarebbe detta in stile grunge…) che si capisce essere un punto di riferimento. La figura è quella di un prete, un semplice prete, rimasto tale per la vita. Niente Monsignore, niente vescovo, niente arcivescovo…Ma era colmo del carisma che serviva per renderlo credibile a quei giovani, a quelle ragazze, con gli occhi puntati verso il futuro. Era la sua ricchezza quel carisma e non costava nulla perché o lo percepisci oppure non sai di cosa si stia parlando (per capirci: è quello che si scatena quando Bruce entra sul palco...). Certamente erano altri tempi perché di fronte c’era l’infinito del futuro, c’erano ancora i segni della guerra vissuta sulla pelle dei nostri genitori, c’era la consapevolezza che la scuola poteva fare svoltare la vita di una generazione, e poi un'altra e ancora. Tutto era in bianco e nero, è vero, ma a colori avevamo la fantasia che era davvero qualcosa di inarrivabile. Sapevamo che stando insieme avremmo conquistato il mondo. Ma arrivarono presto le “divisioni” che lavorarono per spegnere i sogni però l’avere intravisto l’infinito fu qualcosa di indimenticabile e la lezione fu ben recepita. Non cambiammo il mondo ma imparammo a come comportarci per mantenere dentro di noi la fiammella dell’infinito. Spesso le circostanze, i dolori, i dispiaceri, le delusioni, le sconfitte, tentano di spegnerla quella fiammella. Ma noi, integerrimi idealisti, incurabili utopisti, sappiamo che fino a quando la terremo accesa e ne potremo intravvedere il chiarore, ci sentiremo fedeli a quelle ombre, a quelle immagini, a quei sogni, in nettissimo bianco e nero, che non ci hanno fatto tradire. Né altri, né noi stessi. Destinati, forse, alla sconfitta ma mai costretti al “tradimento”. Si può trovarlo l’infinito, basta cercarlo e, alla fine, non restarne schiavi…

 

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