Nella serie di X-Files ci sono due episodi dal titolo “La sesta estinzione” riprendendo la lettura della storia del nostro Pianeta che, in cinque differenti stagioni temporali, avrebbe visto la vita all’epoca presente (dinosauri inclusi) scomparire. Per poi riprendere in una logica misteriosa o soprannaturale…questo rimane oscuro oppure un atto di fede.
L’umanità
intesa così come la conosciamo sarebbe nata con l’homo sapiens circa 250.000
anni fa mentre i suoi antenati sarebbero di due milioni e cinquecentomila anni
fa…Numeri immensi ma sempre “limitati” rispetto al tempo della prima estinzione
che risalirebbe a circa 450 milioni di anni fa.
Di fronte a questi numeri
temporali immensi fa impressione pensare che la sesta estinzione potrebbe
essere stata innescata dall’uomo a partire dalla metà del settecento con la
rivoluzione industriale che, nel tempo, ha certamente cambiato, in meglio, la
vita degli uomini (non entro nell’ambito del ragionamento relativo allo
sfruttamento della forza lavoro perché il discorso sarebbe lungo e…doloroso…)
ma ha logorato il Pianeta a causa del suo diretto sfruttamento (distruzione
di montagne, rimozione del sottosuolo, estrazioni di gas e petrolio,
inquinamento dell’aria, dei mari, dei suoli, modifica dell’orografia di fiumi,
cementificazione selvaggia…), che non ha risparmiato proprio nulla e nessuno.
Senza tregua e senza pietà. Il profitto innanzitutto.
Ricordo che quando
frequentavo la terza media, quindi nel 1970, ci venne regalato un opuscolo del
WWF in cui si poneva l’attenzione proprio sul tema del rispetto della natura,
dei fiumi dei mari, degli animali, di tutto il contesto in cui noi eravamo una
parte, non il tutto. Una parte importante, certamente, ma non l’unica e, per la
Natura e per il Pianeta, non indispensabile. Sono passati oltre 50 anni dalla
consegna di quell’opuscolo e, certamente, l’attenzione all’ambiente è cambiata
con una forte presa di coscienza da parte di molte popolazioni e governi ma,
nel frattempo, la situazione è peggiorata. I mari sempre meno pescosi, le acque
sempre più colme di plastiche entrate ormai nella catena alimentare dei pesci
e, quindi, degli umani. L’aria sempre più inquinata, i ghiacciai e i grandi
iceberg che si sciolgono alzando il livello dei mari. Anche il permafrost della
Siberia, che si riteneva eterno, ha iniziato a sciogliersi con la fuoriuscita
di gas di varia natura dal sottosuolo. Per non parlare dell’estinzione prossima
di molte specie animali con conseguenti danni alla catena dell’equilibrio
ambientale. Anche la catena alimentare complessiva ha iniziato a compromettersi
e la prospettiva di convivere con costanti pandemie causate dallo
sconvolgimento climatico allontana sempre di più un ipotetico lieto fine.
L’incontro,
a Glasgow, del COP 26 è, a mio avviso, l’ultima chiamata prima del declino,
irreversibile, del Pianeta che potrebbe essere inghiottito dall’incapacità dell’uomo
di comprendere che la sua vita ha un limite e l’idea di non cambiare lo stato
delle cose per non diventare “poveri” altro non è che un tragico errore di
prospettiva. Perché la vita di ciascuno ha un limite e nessuno potrà portare
con sè le ricchezze accumulate e perché il Pianeta, comunque vada a finire,
sopravviverà all’uomo.
Francamente non ho molta fiducia nell’intelligenza e
nella saggezza umana. Quanto accaduto ed accade con la pandemia insegna che quando
l’uomo inizia a confrontarsi e convivere con la paura ritiene di essere fatalisticamente
immortale e sfida la sorte. Ma come ogni sfida si può vincere oppure perdere e,
in questo caso, essendo l’uomo una parte del puzzle, la sfida verrà persa e, in
capo a cinquant’anni l’umanità potrebbe ritrovarsi all’interno di un brutto
film catastrofico da cui non ne uscirebbe indenne.
Bisogna che i governi trovino un accordo serio e sincero per spegnere il fuoco che alimenta l’economia nella quale siamo inseriti, i bisogni generati al di là dell’essenziale ritrovando stili di vita sobri bandendo, laddove possibile e trovando sistemi ecologici di distruzione della plastica. Si può fare? Si, si potrebbe e si dovrebbe fare. Ma riflettendo sui cinesi che pensano a minacciare Taiwan anziché preoccuparsi del fatto che nel momento in cui la loro economia sarà satura avranno un miliardo e 402 milioni di problemi (e così l’India, la Russia etc.) lo spettro della speranza si allontana sempre più lasciando il posto ai quattro cavalieri di cui parla l’Apocalisse di San Giovanni dove, probabilmente, era stato già scritto tutto…
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