mercoledì 24 febbraio 2021

Milano...

 Lunedì scorso abbiamo sviluppato una interessante commissione consigliare dedicata al tema delle periferie (tema che detesto…) declinata sul tema (finalmente) dei quartieri della città. Questa nuova visione prende spunto sia dal martellamento che ho proposto in questi anni sul tema che sulla suddivisione della città in NIL (nuclei di identità locale) che rappresentano la città suddivisa in 88 zone ben definite e con una identità precisa. Questa suddivisione è importante per comporre la città nella sua integrità ma, anche, con le sue identità ben precise e consolidate nel tempo. Sia per quanto concerne i quartieri nuovi che quelli antichi, quali borghi e quant’altre realtà ante guerra oppure in quegli ambiti cittadini nati nel dopoguerra. I documenti proposti sono molto interessanti perché danno una lettura potente e precisa della città in movimento rendendo possibile una visione della città proiettata verso il futuro. Ma c’è un ma…Perché il covid ci ha costretti, tutti, istituzioni, realtà produttive, cittadini e tutto quanto compone la società a rivedere i nostri modelli di sviluppo al fine di poter essere quanto più resilienti rispetto agli incidenti della storia, quale la pandemia ha dimostrato di essere. Pensare che gli Stati Uniti abbiano sofferto più morti per la pandemia che nelle guerre combattute nel secolo scorso ed in questo, fa rabbrividire…Dobbiamo, allora, a riflettere sul fatto che questo modello deve modificarsi. Non si parla di pensare ad una rivoluzione in stile assalto al Palazzo d’Inverno (anche perché di inverno se ne vede sempre meno…) ma della necessità di predisporre una riflessione completa e profonda sul futuro che ci attende.

Milano, negli anni, è cresciuta e ne siamo tutti contenti ma la città, che è piccola e contiene solamente un milione e quattrocentomila abitanti (erano un milione e settecentomila nel 1971 e giungemmo a meno di un milione e duecentomila nei primi anni duemila). La città è cresciuta fortemente nel terziario, nella sanità, nelle università, nel divertimento, nell’uso della città dal punto di vista della cultura. Ma la città diventa sempre più vecchia e la divisione al suo interno è sia di classe (esistono ancora le classi sociali…? si, esistono, e sempre più marcate sono le divisioni tra le stesse) che di età (tanti pensionati, molti i lavoratori) e di reddito. Soprattutto di reddito perché il covid ha scoperto una verità che si è cercato di tenere nascosta: la povertà incombente per vasti strati sociali che, a causa della pandemia, sono entrati nella fascia di povertà nel breve volgere di un trimestre. Persone con lavori a basso reddito, oppure precari, oppure dipendenti di aziende fallite, oppure che si sono ammalati e poi allontanati dal lavoro perché non più necessari causa riduzione della quantità di lavoro. Tutto in poco tempo, tutto velocemente, tutto troppo drammatico per poter essere assimilato trovando una via di fuga. Se, quindi, il covid ha dato un colpo potente al progetto di città come ce l’eravamo immaginata, l’unica maniera per ritornare a respirare è la giusta distribuzione del reddito che non la decide un algoritmo ma una politica sociale, lavorativa, reddituale equa e “onesta”, che metta l’uomo, la persona, l’etica, il valore umano al primo posto ed il resto in condizione di opportunità. Ma sempre al secondo posto rispetto alla dignità della persona. Quante persone si sono incamminate verso centri Caritas, verso gli hub alimentari del Comune di Milano, verso le realtà del Terzo Settore che, con sforzo volontaristico ed economico, hanno sostenuto le necessità primarie delle persone in difficoltà. Quanti i canoni di affitto e bollette non pagate…Quante le lacrime di chi non si aspettava la povertà e non ha nulla da offrire ai propri figli…

No, questo sistema non funziona più e quanto prima si riuscirà a sostituirlo con un altro che metta al primo posto la dignità delle persone rispetto al denaro, all’arricchimento facile, alla sopraffazione dei diritti, meglio sarà. Per tutti. Anche per i ricchi…         

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